Il kaki, detto anche loto o diospiro (letteralmente “cibo degli dei” per la sua squisita bontà), coltivato da oltre un millennio in Asia, era già noto ai Romani, come ci tramanda Plinio nella sua Naturalis Historia. Ma è solo all’inizio del secolo scorso che la coltivazione del kaki si diffonde in Campania, trovando nelle caratteristiche pedo-climatiche di questa regione, le migliori condizioni per raggiungere il primato produttivo nazionale.
Il bacino di produzione è tuttora molto ampio e comprende l’area flegrea, quella acerrana-vesuviana, la zona maddalonese ed il Nocerino-Paganese.
Il prodotto è di particolare pregio per la pezzatura grossa e l’ottimo sapore, dovuto per lo più all’elevato grado zuccherino che il terreno e il clima napoletano riescono a trasmettergli.
Tra le sue peculiarità vi è quella di produrre frutti sia astringenti che non astringenti (i famosi Kaki Vainiglia), a seconda se sia stata o meno assicurata la fecondazione durante la fioritura, attraverso la presenza di un adeguato numero di piante impollinatrici.
I frutti fecondati, eduli già al momento della raccolta ma con un certo numero di semi, sono tipici di questa varietà e sono utilizzati per il mercato locale nel periodo autunnale.
I loti , invece, non fecondati e quindi senza semi devono essere sottoposti ad ammezzimento, naturale o forzato, prima di poter essere consumati, ma proprio questo trattamento che ne esalta la dolcezza e il sapore li rende facilmente deperibili.
Oltre ad essere consumato come frutto fresco (eccellente è la sua utilizzazione come dessert da mangiare con il cucchiaio) il Kaki Vainiglia Napoletano può essere impiegato nella preparazione di confetture, oppure di un insolito ma gustosissimo sott’olio dal sapore agrodolce.